L’addio trionfale di Monique Veaute
Nel giardino dell’Hotel dei Duchi, tra sorrisi commossi e numeri importanti, si chiude l’era Veaute con una conferenza stampa che sa di festa. E quando inizia a piovere, proprio mentre si parla del concerto in piazza, sembra quasi che il cielo voglia partecipare all’emozione generale.
“Abbiamo riportato il festival al livello internazionale che gli compete”
Il sindaco non nasconde l’orgoglio: “È tornata l’atmosfera del festival di una volta”. Cinque anni intensi al fianco di Monique Veaute e Paola Macchi hanno trasformato una fondazione in una macchina perfetta, capace di attrarre spettatori da tutta Italia e dall’estero.
“Anno durissimo questo”, ammette, “ma siamo diventati una fondazione matura che può gestire un festival ad alto livello”.
La soddisfazione è palpabile: il Festival dei Due Mondi è tornato a brillare sui palcoscenici internazionali, e la fondazione ha dimostrato di “saper scegliere il direttore artistico”. Un saluto elegante a chi parte, un augurio a chi arriverà.
I numeri che fanno sognare
Paola Macchi, sgrana i numeri di un quinquennio che ha del miracoloso: “31mila biglietti venduti, 925mila euro di incassi – il dato più alto da quando abbiamo memoria. Tutti i teatri pieni!”. Dietro al successo, 68 compagnie, 800 artisti, 300 persone di staff e un milione di euro accantonato per il futuro.
Ma non è solo questione di cifre. Gli spazi sono stati riqualificati, costumi e manifesti riordinati e catalogati con l’aiuto degli studenti, collaboratori formati con cura. “Ventimila contatti fidelizzati”, dice Macchi con un sorriso. “Il festival è una responsabilità culturale, un’avventura faticosa ma anche divertente”.
Il ringraziamento che commuove
Monique Veaute, sempre elegante anche nell’addio, dedica le sue parole a chi lavora nell’ombra: “Ringrazio tutto lo staff del festival, quei settori con poca visibilità che permettono alla macchina di funzionare”. Poi l’affetto per Ada Urbani, “amica del festival”, per Duccio Marignoli e per tutti coloro che hanno aperto le loro case. “La città di Spoleto ha fatto il suo lavoro”, sottolinea, mentre nomina Anna Fendi che “è stata gran parte della storia di questo festival e ci mette in contatto con la memoria”.
Un pensiero speciale per Marina Mahler e per tutti gli altri che hanno reso possibile questo sogno.
La pergamena e l’arazzo della Regina Cristina
Momento clou della conferenza: Ada Urbani arriva con una pergamena, chiamando sul palco Duccio Marignoli, Anna Fendi e altri mecenati. Un assegno di oltre 20mila euro per il restauro dell’arazzo della Regina Cristina. Un gesto che sa di continuità, di amore per la bellezza.
Anna Fendi, 92 anni portati con grazia regale, ringrazia ricordando la sorella Carla e il Maestro Menotti. È lei la mamma di Maria Teresa Venturini Fendi, ed è lei che rappresenta la memoria storica del festival. Ada Urbani non dimentica Gianni Toscano, mentre Duccio Marignoli ricorda Bruno Toscano. Nomi che sono storia, volti che hanno fatto grande Spoleto.
La sfida del futuro
“Stiamo lavorando per dotare la città di più spazi e più opportunità”, promette il sindaco. L’obiettivo è chiaro: aumentare la qualità per non perdere attrattività. Un invito al sistema turistico a partecipare alla crescita, una città che “deve imparare ad essere aperta e non chiudersi per il futuro”.
L’importante è “non perdere questo glamour che si è formato”, perché Spoleto ha ritrovato la sua magia. E mentre le prime gocce iniziano a cadere, sembra quasi che il cielo voglia benedire questo momento di passaggio.
L’eredità di un’epoca
Con i numeri record di questa 68ª edizione, Monique Veaute lascia un’eredità preziosa: un festival tornato al centro del dibattito culturale internazionale, una fondazione solida, una città che ha ritrovato il suo splendore.
Dal 2026 toccherà a Daniele Cipriani raccogliere il testimone, ma intanto Spoleto può guardare al futuro con la consapevolezza di aver vissuto cinque anni straordinari. Anni in cui la cultura ha dimostrato di essere non solo bella, ma anche economicamente sostenibile. Anni in cui il festival ha ritrovato la sua anima internazionale senza perdere le radici umbre.
E se il cielo ha pianto di gioia durante la conferenza stampa, forse è perché anche lui sa che certe storie meritano di essere celebrate con ogni forma d’arte. Anche quella della pioggia.

